"Anna Lu, io ho finito, vieni a vedere!"
La voce, entusiasta, è quella di un bambino di Città Alta, ma probabilmente quella frase è riecheggiata identica centinaia di volte, tra le antiche mura che ospitano questo laboratorio d’arte speciale. Da qui sono passate generazioni di giovani bergamaschi, del quartiere e non solo.
“In questi quindici anni abbiamo accolto probabilmente anche cinquecento ragazzi, e che gioia quando qualcuno di loro, crescendo, ci diceva di aver scelto di intraprendere un percorso artistico a scuola o all’università”. Siamo alle spalle della Vetrina di Porta Dipinta, ascolto Andrea raccontarmi fiumi di storie passate per quei luoghi, dove lui e sua mamma danno spazio e libertà ad arte e creatività.
La Vetrina vera e propria è dove è iniziato tutto: è un angolo discreto, ma che si distingue, in quella strada dal nome così evocativo, via Porta Dipinta. Anna Luisa, mamma di Andrea, è pittrice e maestra d’arte, ha esposto le sue opere in diversi angoli d’Italia; un giorno lascia Bologna con il marito e approda in questo luogo, che la rapisce, e diviene sua città d’elezione. È la fine degli anni ’90: Bergamo, e in particolare Città Alta, è un gioiello, la morsa del turismo di massa ancora ben lontana. Il borgo silente e raccolto ispira l’arte di Anna Luisa e le offre un rifugio, una bottega dove esporre e mettere in vendita le sue opere.
In quel contesto, piccolo ma unico, diventa grande il figlio Andrea: ci prova ad “allontanarsi” dall’arte, mi dice sorridendo, ma placata la ribellione adolescenziale, i suoi passi lo portano proprio in Accademia, a Brera, da cui esce diplomato in restauro. Ed ecco che madre e figlio, due artisti, naturalmente votati all’insegnamento, scelgono di avviare insieme qualcosa di più.
Sono passati quasi quindici anni, e lo Studio di Anna Luisa si espande, trovando naturale prosecuzione in un locale alle spalle della Vetrina, uno dei classici ambienti dove si respira la Bergamo più antica, con le volte sul soffitto e tracce di epoche passate che emergono dai muri. Andrea mi racconta che quei locali, in origine, erano parte di un convento di suore, dedite alla sepoltura di quelle povere anime che confluivano nella vicina fossa comune della Fara, annessa alla chiesa di Sant’Agostino. Questa città è una sorpresa continua.
Ed ecco, dispiegata sotto i miei occhi, la piccola meraviglia che Anna Luisa e Andrea hanno creato: un laboratorio di corsi d’arte per giovani artisti, attivo tutto l’anno in diversi pomeriggi, e pieno di risorse. Un grande tavolo al centro della stanza e, tutt’intorno, scaffali zeppi di libri, disegni, manufatti e strumenti del mestiere.
Tanti e diversi i focus dei laboratori immaginati, che variano sempre, e tanti i materiali, le tecniche adottate, le ispirazioni, tratte dal mondo intero. Con l’aiuto di Claudia Benicchio, artista e guida museale, le attività proposte stimolano la creatività degli artisti in erba e al contempo il loro pensiero logico-creativo, con un’unica regola: che sia data ai pennelli massima libertà.
Nel mostrarmi rivisitazioni di pitture di Paolo Uccello e opere di Picasso realizzate in creta, Andrea mi racconta dei preziosi momenti in cui alcune di queste realizzazioni hanno trovato luce fuori dal laboratorio, incontrando diversi spazi del borgo: è il caso della mostra su Klimt, esposta nel foyer del teatro universitario Sant’Andrea, sorto proprio sotto la chiesa omonima, o dei disegni che ha accolto temporaneamente la biblioteca di piazza Mercato delle Scarpe.
Il passaparola tra i genitori, mi racconta, è il motore più importante, e io aggiungerei anche il più prezioso sigillo di fiducia; i corsisti sono molti e affezionati, tanto che alcuni laboratori vengono allestiti perfino “in trasferta”, con due associazioni, a Lallio e a Cenate Sotto.
I laboratori tengono compagnia ai giovani artisti anche in estate, e a volte, prendono la forma di vere e proprie esplorazioni d’arte: Andrea mi racconta di piccoli viaggi organizzati in passato nel cuore dell’Appennino tosco-emiliano, tra borghi, mare e montagna, dove i ragazzi potevano respirare luoghi di pura meraviglia, e i loro carnet de voyages riempirsi di schizzi.
Andrea, orgoglioso, mi mostra proprio alcuni taccuini di Anna Luisa, ricchissimi di schizzi ad acquarello sulle città che più ha amato. Ma è quel borgo dove è nata la Vetrina il principale protagonista di quel taccuino. Bergamo Alta, il cui profilo ricorre nella maggior parte delle opere di Anna Luisa, è davvero una culla perfetta.
Mentre ci spostiamo nella Vetrina vera e propria, lasciando Anna Luisa e i ragazzi intenti a ultimare l’opera natalizia, Andrea mi fa osservare come questa sia di fatto l’unica “vetrina” presente in via Porta Dipinta – al netto di pizzerie e locali, che comunque sono nati dopo. In effetti, l’unica attività artigianale della strada è proprio questa, e il conto non aumenta granché pur spostandosi nel cuore di Città Alta, in quel mercato feroce che è diventata negli ultimi anni.
La Corsarola, in particolare, è un contesto molto competitivo, anche disturbato; essere invece un po’ decentrati ha permesso a questa attività di preservarsi, accogliendo soprattutto chi davvero interessato a scendere e curiosare in quella vetrina: “A noi piace poter parlare con la persona che sceglie di venire qui e acquistare, e poi ci piace ricevere una foto di dove ha messo quell’oggetto in casa!”, mi spiega Andrea. Attorno a noi, una festa di oggetti in creta, ceramica e porcellana, realizzati interamente da Anna Luisa, o da lei dipinti, accanto a prodotti di qualità pregevole, dalla manifattura di Bassano alla porcellana limoges; tutte realizzazioni completamente artigianali.
I laboratori con i ragazzi, essendo il motore dell’attività nel suo complesso, consentono in qualche modo che le realizzazioni di Anna Luisa, in vendita nella Vetrina, possano aspettare il cliente giusto. E non doversi “piegare” a vendere oggettistica di scarso valore, snaturandosi per accontentare il mercato, è una grande cosa.
Il turismo è chiaramente cambiato: nonostante i flussi in passato fossero inferiori, questi portavano un turismo di nicchia, più attento. Era più frequente imbattersi in persone che credessero nel valore di certe piccole opere. Ma i clienti affezionati rimangono, e tornano, soprattutto sotto le feste: di questi rapporti vive la Vetrina, vivono i suoi laboratori d’arte, e si vede. Brilla proprio così. Sono queste cose, a contare.
La Vetrina è piccola, ma le sue storie mi fanno capire quanto sappia contenere, in realtà. “Questo è il nostro posto, è bello sentirsi a casa, lo avvertono anche i bambini. Non lo cambieremmo per nulla al mondo” sorride Andrea.
Saluto l’allegra compagnia, e allontanandomi noto gli ultimi genitori arrivare a prendere i figli: condividono impressioni sui lavori dei loro piccoli artisti, scambiano chiacchiere sulle loro giornate. Un’immagine semplice, scontata. Ma in Città Alta mi sembra quasi insolita, così abituata ormai a vederla come un luna park a uso e consumo di chiunque. Eppure so bene che è un quartiere cittadino, certamente unico rispetto ad altri, ma fatto e sorretto da una comunità, come tutti gli altri.
Ed ecco che questa Vetrina mi appare per quel che è: un punto d’incontro prezioso per un quartiere che sta cambiando volto e ritmi, e che con fatica cerca di preservare le cose che contano: una dimensione autentica, una dimensione di comunità.
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