Mentre scrivo queste righe, fuori dalle mie finestre è novembre, un novembre dalla testa ai piedi.
Una coltre di nuvole basse, che spesso confondiamo con banale nebbia, avvolge l’orizzonte familiare e lo rende indistinto. Avverto quella stessa atmosfera protagonista di un film che vidi quando ero bambina, e di cui conservo un ricordo profondo e indelebile: sì, era proprio “L’Albero degli Zoccoli”.
Nel 2023 ricorrono i primi cinque anni dalla scomparsa del poetico ed eclettico regista che firmò quell’opera imponente, così vorrei dedicare un pensiero a uno sguardo di rara sensibilità: quello di Ermanno Olmi.
Ermanno Olmi: un figlio del quartiere Malpensata di Bergamo
Regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, direttore della fotografia, montatore, nonché scrittore: Ermanno Olmi è il cinema, quello italiano e internazionale, omaggiato a ogni latitudine dai più gloriosi premi, ma che affonda le sue radici nel modesto mondo bergamasco.
Olmi nasce nel 1931 a Bergamo, nel quartiere Malpensata; poco più che bambino, lascia la casa natale insieme alla famiglia alla volta di Treviglio. Arriverà quasi per caso dietro la macchina da presa, approdato a Milano, e guadagnerà presto il posto che ben conosciamo nell’olimpo del cinema.
Con un tocco di ironia, dopo tanto tempo Olmi rievocherà, giocando sul nome del suo quartiere natale: «Io spero che quando sono venuto al mondo mia madre l'abbia pensata in modo diverso, ovvero che sia stata una bella pensata l'avermi messo al mondo!».
Tornerà in quella casa solo diversi decenni più tardi, rievocando come «il piccolo orticello d’entrata fosse il mio giardino dell’Eden». Lo sguardo fanciullesco che ha poi trasposto nelle sue pellicole, attraverso le quali, con purezza, ci ha consegnato l’intensità di gesti, sguardi e sentimenti semplici, e per questo autentici.
Oggi il quartiere Malpensata, tra i più vivi e attivi della città, ha omaggiato il suo indimenticabile concittadino attraverso un parco pubblico, che è stato oggetto di recente rigenerazione: animato durante tutto l’anno da rassegne cinematografiche, eventi e iniziative (come l'amatissimo Baleno Festival), il parco Ermanno Olmi è cuore pulsante del quartiere bergamasco.
Un regista dallo sguardo fuori dal comune
Visionario poeta della pellicola – Olmi nutriva un’ammirazione sconfinata per i poeti, tanto da esserlo diventato lui stesso, con altri mezzi –, sin dai suoi esordi il regista ha intrapreso un personalissimo cammino, indipendente e autonomo da schemi e ideologie.
Intimamente legato alle proprie origini rurali e modeste, Ermanno Olmi ha dato forma alla propria poetica autoriale privilegiando i sentimenti e le storie delle persone semplici, che fossero i contadini de L’Albero degli Zoccoli o i timorosi giovani di provincia nei primi approcci al mondo del lavoro ne Il posto.
A cornice di queste storie, l’eloquente scenario naturale oppure la città, entrambi i mondi raccontati con genuinità, alla ricerca della loro anima più vera, nel primo caso, e più popolare, nel secondo. Da qui la scelta rivoluzionaria di Olmi di lavorare con attori non professionisti e di raccontare vicende umane con uno sguardo spesso documentaristico. Reinventandosi continuamente, ma restando ancorato ai propri personalissimi fondamenti.
L’arte di Ermanno Olmi oltre la pellicola
L’opera manifesto della cifra stilistica di Ermanno Olmi è, indubbiamente, L’Albero degli Zoccoli: un film coraggioso, una sorpresa per il pubblico del 1978. Ottenne la Palma d’Oro al Festival di Cannes di quell’anno e commosse il mondo – lo stesso Al Pacino non fece mai segreto di quanto questo film gli fosse rimasto impresso.
Gli attori, semplici abitanti della bassa bergamasca, molti della "sua" Treviglio, recitarono in dialetto bergamasco, in alcuni casi interpretando loro stessi, dando così forma a una trama dove il limite tra finzione e realtà è appena percepibile. Ben oltre il neorealismo, quello di Olmi è un realismo a tutti gli effetti.
Un vero e proprio documentario di vita contadina, dove parlano soprattutto le immagini e i silenzi degli uomini e della natura; un'opera intensa, che si nutre dei ricordi più lontani, e per questo più cari, di Ermanno Olmi.
Guardo e riguardo questa pellicola, tra quelle girate nella bergamasca che più ci rendono orgogliosi, e mi sembra di vivere in prima persona questo eccezionale affresco rurale. Utilizzo non a caso una parola del vocabolario artistico, perché la resa è talmente efficace e intrisa di poesia che mi proietta nelle sale di un museo, di fronte ad alcune toccanti opere del Settecento o di fine Ottocento.
Quando cerchiamo nell’arte queste suggestioni, e al loro cospetto ci emozioniamo, pensiamo che Olmi ci ha regalato la nostra personale arte, tutta bergamasca.
Nel microcosmo della cascina lombarda, tra i tempi scanditi dai rintocchi delle campane, si intrecciano così le vicende dei più umili: la loro dignità, altissima, è infusa di toni mistici e resa quasi sacra dal linguaggio più sacro esistente: quello dell'arte, pittorica e cinematografica.
D'altronde, mi piace pensare che Ermanno Olmi sia figlio naturale di una storia secolare. Egli "dipinge" la figura dell’umile, a livello cinematografico, con la stessa sacralità con cui gli antichi pittori bergamaschi raffigurarono la gente comune, gli aspetti consueti della vita: Fra Galgario nella ritrattistica e il Baschenis con i suoi strumenti, ma anche i vicini Moretto e Savoldo, bresciani, o ancor di più il Pitocchetto, lungamente attivo a Brescia.
La fantasia di questi antichi pittori – alcuni protagonisti di una recente mostra promossa per Bergamo e Brescia Capitale della Cultura – è realistica e «brilla quando racconta l’universo dei semplici», come riflette Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia. Seguendo questa logica, mi piace porre Ermanno Olmi al crocevia dell’arte bergamasca.
Oltre “L’Albero degli Zoccoli”: i film di Olmi nel segno della natura
In fin dei conti, nei suoi film si respira l’anima stessa di Olmi: le sue opere permettono di cogliere sfumature dell’uomo che li ha concepiti e diretti, ben oltre la poetica del regista.
Un elemento essenziale di ciò è, come anticipato, il rapporto con la natura, che certamente l’autore porta con sé dalle sue origini, e che mai ha abbandonato. Ermanno Olmi scelse di vivere buona parte della sua vita, fino all'ultimo, sull’altopiano di Asiago, in un contesto dove ancora la natura, nelle sue varie manifestazioni, ha un ruolo predominante: “è la natura che ha cercato me - commentò - è una madre soccorrevole”.
La sua stessa produzione cinematografica si apre e si chiude con due opere caratterizzate dal protagonismo pieno e assoluto della natura: la prima creazione del regista, “Il tempo si è fermato” (1959), nacque come documentario per l'Edison-Volta, dove l’ancora giovanissimo Olmi aveva trovato impiego.
Siamo nei pressi del maestoso Monte Adamello: qui, un giovane e un anziano in veste di guardiani, due esseri umani agli antipodi, conosceranno i reciproci mondi nel tempo sospeso creato dallo scenario montano.
Dopo aver visto questo film, interpretato naturalmente da attori non professionisti, si narra che un commosso Federico Fellini abbia chiamato Ermanno Olmi per dirgli “da questo momento, noi due siamo fratelli”.
L’ultimo lavoro di Ermanno Olmi è ambientato proprio nel territorio di Asiago durante la Grande Guerra, nelle infelici trincee degli Altipiani innevati: qui invece lo scenario naturale, specularmente, è terribile, spietato, ma il titolo conserva in sé una speranza, tutta nel segno della natura: “Torneranno i prati” (2014).
In mezzo a queste due opere, tra i memorabili Il Posto, La Leggenda del Santo Bevitore, Lunga vita alla signora!, Il mestiere delle armi, Cantando dietro i paraventi, ecco la natura magica, fiabesca de "Il segreto del bosco vecchio" (1993): un film dalla vocazione decisamente ambientalistica, girato anch’esso in alta montagna, nel Bellunese, tra i sussurri e gli incanti di una foresta.
Tratto da un romanzo giovanile di Dino Buzzati, ci immerge tra sogno e realismo, e con una peculiarità che è cosa rara nella produzione cinematografica di Olmi: un protagonista celebre, ovvero un intenso e struggente Paolo Villaggio, che ci trasporta in una vera fiaba incantata d’altri tempi.
Il rapporto con Bergamo e il premio cinematografico Ermanno Olmi
Un giorno, alla domanda "Ha imparato il dialetto veneto?” Olmi rispose ironicamente “Sono disposto a impararlo appena i veneti... impareranno il bergamasco!”. Pur essendosene allontanato da giovane, infatti, Olmi è sempre rimasto intrinsecamente vicino e fedele al territorio bergamasco e ai suoi simboli, come dimostrano le suggestioni di buona parte della sua produzione cinematografica.
Della sua città natale, Ermanno Olmi apprezzava le trasformazioni eccellenti, tradottesi in esempi di altissimo valore civile, che la distinguono e distinguono il suo popolo. E lodava la grande attenzione che Bergamo ha avuto nel non contaminare la sua parte storica, sempre rispettata, e la parte "nuova", centro propulsore del progresso.
Una città, a suo dire, che mai si è rinnegata, ma che ha sempre proceduto nel segno dell'apertura. L'ultimo augurio di Olmi alla sua Bergamo è stato quello di proseguire in questo senso, non rinchiudendosi mai dentro se stessa: sarebbe il segno della solitudine, dell’isolamento, e dunque dell’arretramento.
E, da parte sua, come ultimo omaggio, Bergamo ha dedicato un premio internazionale al suo immenso figlio cineasta: il Premio Ermanno Olmi, che promuove e valorizza i cortometraggi dei giovani registi, e che, proprio lo scorso 5 dicembre, ha proclamato il vincitore dell’ultima edizione.
Un riconoscimento che guarda al futuro e, nel farlo, ricorda quell’immenso protagonista di una pagina del cinema passato, ancora capace di nutrirsi del racconto storico, dell’allegoria fiabesca, dei ricordi personali più intimi e autentici… e di farne pura arte.
Riferimenti
M. Manzoni (a cura di), Ermanno Olmi. Il primo sguardo, Bompiani
G. Piovene, Viaggio in Italia, Bompiani
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